Vecchio Mulino/Castelfranci. Metti una sera a cena lungo le sponde del fiume Calore.
Vecchio Mulino/Castelfranci Metti una sera a cena lungo le sponde del fiume Calore. La regia non è di Patroni Griffi, ma di Daniele Del Polito che in questo luogo magico nel bosco di Castelfranci, ha creduto, visto e puntato senza esitazione alcuna con grande lungimiranza, ovviamente rischiando. Ma fatti e dati gli hanno dato ragione: Vecchio Mulino è uno dei ristoranti incantati più amati e conosciuti d’Irpinia, della Campania e non solo. E Cena Wine on the river, nuovo formato che Daniele s’è dato, è il più classico, funzionale e vincente benvenuto all’estate che incalza e che spinge tutti alla ricerca di luoghi di refrigerio, natura, bellezza, buon cibo e naturalmente buon vino: insomma, l’Irpinia. Occorrono però la complicità degli attori del territorio, nella fattispecie alcuni produttori che Lello Tornatore, quello delle alici del Calore (?) ha chiamato all’appello due aziende autoctone, trai i fiori all’occhiello del territorio: Boccella e Antonio Molettieri e come guest, quella di Eliseo Santoro di Paternopoli. Protagonisti che per essere bevuti – è il caso dirlo – hanno bisogno della complicità di uno chef ed il resident Vincenzo Vazza è stato colui che ha dato materia a materie prime – d’uopo il gioco di parole - che hanno caratterizzato , grazie ad una tecnica superba, ad una sensibilità unica nel comporre le cinque portate e far giocare le rispettive cromie delle componenti presenti nei piatti, cui sono stati abbinati con sapienza alla luce delle rispettive caratteristiche, i vini dei produttori di cui sopra. Siamo partiti su cuccio e cerase, ovvero carpaccio di coniglio porchettato su ruchetta selvatica, frutti del sottobosco, germogli di barbabietola, Ravece, chips di patate violette e ciliegia all’aglianico, portata accompagnata da una Falanghina Irpina Igt 2022 della giovane azienda di Eliseo Santoro. Solo 1300 le bottiglie prodotte; raccolta “a mano” di <un’annata particolare – come sottolinea Michele D’Argenio, segretario Assenologi – con una vendemmia disomogenea, caldissima e con grandi escursioni termiche e paradossalmente ne hanno guadagnato nelle bevibilità, struttura, eleganza, freschezza>. Insomma, un’altra Falanghina, da provare e sicuramente da amare per la non omologazione che contraddistingue le altre. Sulla trota e il tallo, stesso vino, però il Limpha, una Igp con l’etichetta che racconta la storia di questo vino realizzato con fermentazione spontanea cn lieviti autoctoni, forgiato da Antonio Sebastiano.
Sulle sponde del fiume Calore, invece (raviolini ripieni di ortiche, matecati con burro, salvia selvatica e anice stellato, salsa di ortiche del Calore, mousse ai porrcini del sottobosco, finocchietto selvatico e figlia di tartufo), uno straordinario Atipico 2020, un Merlot irpino di 14 gradi che ha spiegato il giovane Antonio Molettieri che col fratello Gerardo alleva questo vino prodotto in sole 1000 bottiglie e che sicuramente diventerà patrimonio vitivinicolo dei figli Antonio E Sofia e dei nipoti Alissa e Michele. Su l’agnello Rasott’o fiume (carrè di agnello scottato con rosmarino e ginepro, cicorietta di campo chutney di pomodori verdi, morbido al pecorino e purea di patate al Ravece), un potente e superbo Campi Taurasini Rasott 2020, sapientemente raccontato da Giovanni, figlio di Raffaele Boccella e Lucia Gregorio, il quale tra un amarcord relativo al rientro dal Venezuela del nonno del quale porta il nome, ne ha tracciato la storia che ha un imperativo, come ha sottolineato poi il papà Raffaele: <il vino si fa in vigna con grande fatica>. Quella contadina, s’intende e di cui, ironia del settore, porta il nome un altro grande Taurasi edito da Terredora, un’altra magnifica storia di uomini (anche donne) e braccia che fa grande l’Irpinia, non solo quella del vino.
Annibale Discepolo ( foto di Annibale Discepolo)
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