Inaugurati al Palazzo Reale di Napoli gli spazi dedicati al bookshop
Inaugurati al Palazzo Reale di Napoli gli spazi dedicati al bookshop
Entro fine anno il bando per la concessione e in primavera apertura al pubblico della libreria con merchandising e spazi per eventi letterari
Introduzione alla mostra:
“Le ceramiche dei Viceré.
I reperti provenienti dal pozzo di Palazzo Vecchio”
di Milena Morreale
Nel 1999, nell’ambito di un ampio programma di riqualificazione del Palazzo Reale di Napoli, i locali del pianterreno che oggi ospitano la “Libreria Reale” furono interessati da lavori di restauro e di riqualificazione funzionale.
La rimozione della pavimentazione degli anni ’50 portò alla luce le testimonianze delle fasi storiche precedenti che richiesero quindi l’esecuzione di una campagna di scavo archeologico che terminò agli inizi del 2000.
Dagli scavi emersero diverse opere murarie, le più antiche delle quali, una superficie lastricata con pietra lavica e un muro in blocchetti di tufo lungo circa 30 m, afferivano al vasto parco annesso al Maschio Angioino – Castel Nuovo danneggiato nel corso degli scontri tra Angioini e Aragonesi al termine del XV secolo.
Attorno metà del XVI secolo, per volontà del Viceré spagnolo Don Pedro de Toledo, contestualmente alla costruzione del Palazzo Vicereale, venne riorganizzata anche l’area del parco.
Di questa fase cronologica gli scavi hanno restituito la straordinaria pavimentazione in laterizi disposti a spina di pesce, suggestiva testimonianza dell’aspetto tardo-cinquecentesco di una parte dell’area occupata dell’attuale Piazza del Plebiscito, e un pozzo, affiancato da due vasche di forma circolare e di uso pubblico, che corredava questo spazio urbano servendo da punto di approvvigionamento idrico.
Alla base del pozzo, profondo circa 19 m, si rinvenne una cisterna in cui si raccoglieva l’acqua proveniente dalla falda e sul cui fondo, immersi in uno spesso strato di limo, furono recuperati numerosi pesi ricavati da frammenti di laterizio o blocchetti di tufo.
L’inizio dei lavori per la costruzione del Palazzo Reale, progettato e realizzato da Domenico Fontana, sul principio del XVII secolo implicò un ulteriore riassetto dei luoghi; una parte dell’area pavimentata in mattoni viene inglobata nel perimetro del nuovo edificio e nel pozzo, ormai inutilizzato, vennero sversati materiali organici e rifiuti domestici.
Lo studio della stratigrafia del pozzo, spessa circa 4 m e intrisa di acqua, consentì di definire un uso relativamente breve dello stesso, obliterato, poi dalla messa in opera del piano di calpestio del nuovo Palazzo.
L’anno 1600 ha fornito, dunque, un terminus ante quem per la datazione dei materiali rinvenuti, riconducibili, per la maggior parte, ad un orizzonte culturale di fine Cinquecento; ben 5000 frammenti tra cui vetro, oggetti metallici, legno, oggetti in cuoio e in osso, resti faunistici, ittiofaunistici, malacologici e carpologici, ma soprattutto ceramiche di uso comune, da fuoco e pregiate maioliche, a cui si accostano importazioni dalla Cina e dalla Spagna, che hanno concorso a fornire uno spaccato della cultura materiale e delle abitudini alimentari a Napoli in epoca Vicereale.
I manufatti in esposizione
I 17 manufatti selezionati per l’esposizione rappresentano, insieme a pochi altri esemplari, le testimonianze meglio conservate dello scavo del pozzo vicereale, in considerazione del fatto che, trattandosi di una discarica, le stoviglie, gettate come rifiuti, erano probabilmente già danneggiate.
I manufatti esposti sono stati oggetto di una prima fase di restauro e pulitura per un’esposizione temporanea tenutasi nell’anno 2000, a cui ha fatto seguito, nel 2024 un ulteriore lavoro di consolidamento dei pezzi.
Tali materiali si pongono a testimonianza degli intensi rapporti culturali e scambi commerciali che la città intratteneva con paesi vicini e lontani anche durante gli anni del viceregno spagnolo.
Di particolare interesse è la coppetta cinese in porcellana bianca e smalto blu cobalto (inv. 2766, Dinastia Ming, era Wanli, 1573-1619) che si attesta come primo rinvenimento presso uno scavo napoletano di questa classe ceramica, testimonianza delle esportazioni che, dalla provincia del Jiangxi in Cina meridionale, erano destinate al mercato occidentale di lusso per il tramite delle rotte commerciali dei portoghesi che raggiunsero la Cina già agli inizi del Cinquecento.
La Spagna è rappresentata da una ciotola in ceramica decorata a lustro con fattezze tipiche delle importazioni dalle fabbriche di Manises (Valencia).
I frammenti di mattonelle in maiolica sono riconducibili ad una pavimentazione che generalmente era caratterizzata da una scansione regolare di piastrelle con un motivo a tozzetti centrali con rosoni circondati sui quattro lati da piastrelle di forma esagonale decorate con motivi di vario genere (geometrici, floreali e vegetali, animalistici, iscrizioni e insegne araldiche). Simili pavimentazioni sono presenti nelle chiese napoletane di San Giovanni a Carbonara e di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli.
L’orcio policromo, rotto in più frammenti e ricomposto in restauro, presenta un ritratto di gentiluomo a mezzo busto di profilo e si può confrontare nelle forme e nelle decorazioni con simili produzioni provenienti dalle fabbriche di Montelupo Fiorentino.
Buona parte dei pezzi esposti rappresentano invece i cosiddetti “bianchi” compendiari caratterizzati da eleganti ornati decorati nei toni del giallo, del blu e dell’arancio e che, a partire dalle produzioni delle maioliche di Faenza contraddistinte da un’elevata qualità esecutiva e prodotte in ampia scala a Castelli d’Abruzzo, si diffusero a macchia d’olio nel corso del XVI secolo.
In ultimo, parte dell’esposizione è dedicata ai manufatti di produzione locale contraddistinti da una modesta esecuzione caratterizzata dal rilevante spessore delle forme, dalla monocromia, dall’invetriatura povera e, talvolta, dalla presenza di decorazioni frettolose.
Didascalie reperti in mostra
Importazione dalle officine dell’Italia centrale, come Montelupo Fiorentino (FI) - Seconda metà XVI sec.
Fabbricazione da parte di manodopera locale con maestranze provenienti dall’Italia centro-settentrionale (in primis Castelli d’Abruzzo) - XVI sec.
Fabbricazione da parte di manodopera locale con maestranze provenienti dall’Italia centro-settentrionale (in primis Castelli d’Abruzzo) - XVI sec.
Produzione locale - Seconda metà XVI sec.
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